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RICORDI
6 giugno 1944
Vittorio Pigazzini sul  libro "Giocavamo alla guerra" - Memorie di giovani monzesi


Omaha-beach

Omaha-beach (da "il soldato Ryan")

I ricordi della Seconda Guerra Mondiale sono tantissimi per me, anche perchè li ho registrati tra i 10 e i 15 anni, quando la capacità di apprendimento è massima. E vanno dall'inizio della guerra, un pomeriggio del settembre 1939 quando ero solo in casa ad ascoltare la radio e comunicai la notizia ai miei genitori al loro rientro, fino alla fine d'aprile del 1945, con l'arrivo degli Alleati a Monza e il primo tank americano fermo sul Ponte dei Leoni, circondato da una folla curiosa ma ancora intimidita.
Ma non ho il minimo dubbio: il ricordo più intenso e duraturo, dopo decenni, è legato alla notizia dello sbarco degli Alleati sulle coste della Normandia, il 6 giugno 1944.

lo staff di Radio Londra

lo staff di Radio Londra
Nel settembre 1943, dopo il tragico armistizio, divenni in famiglia l'addetto all'ascolto di Radio Londra. Tre, quattro volte al giorno mi sintonizzavo, ascoltavo i notiziari preceduti dai fatidici colpi di tamburo (solo anni dopo seppi che riproducevano le note iniziali della Quinta Sinfonia di Beethoven, evocatrici del "Destino che bussa alla porta"). Mi ero familiarizzato con le voci di Umberto Calosso e del Colonnello Stevens, e coi messaggi in codice indirizzati ai partigiani, totalmente incomprensibili ma che proprio per quello avevano per noi un senso di mistero}in Pc angosciante. Un giorno dopo l'altro si attendevano notizie decisive sul corso della guerra, ormai tendenzialmente negativo per la Germania, ma queste si facevano attendere e deludevano le speranze, le attese stressanti di chi aveva parenti nel pieno dei frangenti più pericolosi.

La notizia dello sbarco arrivò, ovviamente del tutto inaspettata, il mattino presto, quel giorno di giugno, e si intuì subito che avrebbe capovolto tutto in pochi giorni. Ma Radio Londra la dava con prudenza, senza il minimo trionfalismo, e la radio italiana la smentiva parlando di tentativi respinti. Solo nel tardo pomeriggio si ebbe la sensazione che lo sbarco fosse riuscito, ma che le operazioni non si svolgevano in modo positivo per gli attaccanti. Solo alcuni giorni dopo venne la certezza che un secondo fronte era aperto nel cuore dell'Europa e avrebbe portato in pochi mesi alla sconfitta definitiva dei nazisti.
Quel giorno ascoltai ogni ora Radio Londra, con ansia, invaso da un emozione profonda e struggente, perchè intuivo che non solo il corso del conflitto stava cambiando in poche ore, ma che un'epoca storica stava finendo, e se ne affacciava un'altra, nuova e tutta diversa, inimmaginabile ancora. Questa sensazione di ansia e di in certezza la risento in me ogni volta che leggo e sento parlare di quei giorni, di quell'avvenimento capitale oggi denominato D-Day, e ne seguo alla televisione. le commemorazioni, che si rinnovano puntualmente ogni dieci anni.
Una settimana dopo si seguivano le operazioni militari cercando le località della battaglia sulla carta di Francia, nomi divenuti famosi anni dopo grazie a film e documentari, ma allora tutti nuovi per noi. E il presentatore dei notiziari italiani dalla radio dei fascisti repubblichini, come allora li chiamavamo, leggeva. i resoconti dalla Normandia con toni eccitati e quasi esultanti, e scandiva su tre tonalità sonore ascendenti le tre sillabe della parola Cotentin, la penisola dove si svolgevano gli scontri.

la foto di Robert Capa

la foto di Robert Capa
Sono passati decenni, i film americani ci hanno propinato situazioni improbabili e falsità stucchevoli, recentemente anche sequenze iperrealisticamente sanguinose. Oggi il documento più toccante, nella sua semplicità, resta una fotografia di Robert Capa, il grande foto-reporter caduto un decennio dopo in Vietnam. E' un'immagine mossa, tecnicamente imperfetta, scattata da un mezzo da sbarco nei primi istanti dell'operazione, e riprende un soldato immerso nell'acqua, l'elmetto piatto britannico di sbieco sul capo, che si affanna verso la spiaggia dove forse troverà la morte. Una piccola immagine in bianco e nero che vale più di film e racconti, e ci dimostra una volta ancora la superiorità inconfutabile della fotografia nel cristallizzare per sempre un'istante della storia.

Vittorio Pigazzini


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 1 novembre 2003